Di Sait Vo Lusérn



04/03/2016
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A LIBAR BODA ZOAGET BIA VALS UN ÅNA HÈRTZ ’Z MANGDA SOIN DI LAÜT

Quanta insincerità si nasconde nella seduzione. Di questo scrive M. Veladiano nel suo ultimo romanzo.




Capita a volte, molto raramente, di incontrare persone speciali, un po’ più speciali di altre, perché hanno un dono prezioso che a pochi è dato; sanno guardarti con la forza di una carezza. Mariapia Veladiano è una di queste rare persone, capace di prendersi cura di chi, di volta in volta le si pone davanti, siano gli studenti, siano i genitori, siano gli insegnanti della: “ mia amatissima scuola”, come ripete spesso la scrittrice. Siano i suoi lettori. Nel suo ultimo libro uscito per Guanda, l’autrice ritorna nella sua città; a Vicenza. In questo romanzo intitolato “Una storia quasi perfetta” Mariapia Veladiano torchia con mano sapiente, dalla massa informe delle vinacce di parole, che ogni giorno ci travolge, le sole adatte; non sempre le più inconsuete, non sempre le più pregiate; solo le più adatte. Una scrittura distillata, certo, frutto di profonda riflessione, però mai fine a se stessa, una scrittura che ha come scopo primo quello di raccontare una storia. Qui si racconta la storia di una città perbene, o forse solo perbenista, dove dietro ai marmi levigati del suo Palladio si nascondono vari gradi di putredine che il cicaleccio disincantato della provincia ammanta di falsa leggerezza. Si racconta una società perbene o perbenista, dove nessuno avrebbe ragione di disperare, dove invece la disperazione è una valanga già staccata. Un romanzo, questo, dove niente è come appare, dove la sola cifra è l’inganno. E per l’inganno più doloroso si fa uso della parola, e sì, financo le parole, così amate dall’autrice, sono sotto accusa in questo libro. Parole che il protagonista; il seduttore senza nome e senza faccia (che non merita dice Mariapia Veladiano) manipola, controlla e fa proprie o rifugge a sua convenienza. Il seduttore è un ladro, un ladro di passioni, un ladro di parole, di cui si impadronisce e poi usa per tessere la sua tela di ragno freddo. E poi c’è Bianca. E poi c’è Bianca. E Venezia. Bianca è una donna ferita, come lo sono le donne nei romanzi della Veladiano, ma ugualmente non rinuncia alla propria integrità, all’amore, alla cura. Bianca fa rifiorire le orchidee. Bianca potrebbe soccombere come in tanti fatti di cronaca giornaliera, invece no, Bianca ha la sua Beatrice, un figlio, un padre e una madre che si prendono cura di lei e di cui lei deve prendersi cura. E Venezia scopri di amarla per davvero quando c’è acqua alta. Non è un romanzo d’amore, “Una storia quasi perfetta”, e nemmeno sull’amore, è un romanzo sulla vita e di come la si possa attraversare a testa alta prendendosi “cura” oppure infingendo ogni azione. Un romanzo che, nonostante la complessità, passa veloce sotto agli occhi, ma non altrettanto attraverso l’anima, dove rimane e incide tagli profondi. E da uomo, è inutile dirsi non è così, io non sono così, non riesci a fartene convinto, in fondo sai che è “anche” così. Un libro che ha molte lettrici donna, ma che è pane per gli uomini; è il loro specchio se solo avranno il coraggio di guardarsi. 
Andrea Nicolussi Golo

 

Trentino, Di Sait vo Lusérn, venerdì 04 marzo 2016
A LIBAR BODA ZOAGET BIA VALS UN ÅNA HÈRTZ ’Z MANGDA SOIN DI LAÜT